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L'architetto Nicola Rizzoli e Bologna: Il Traffico, il Calcio, il Basket e quel corso di pilotag

E' un signore che vive profondamente la sua città, al di là del fatto che è un cittadino del mondo: abita in centro e tifa rossoblù e bianconero.

Calcio e basket, rispettivamente. Come ricorda la sua compagna "posso assicurare che non tifa per nessuno se non per il suo Bologna". Dichiarazione tanto vera quanto giustamente prudente su presunte simpatie per una "grande".

Si fosse dichiarato giallorosso, sai i biancocelesti, per non parlare del triangolo Juve-Inter-Milan, apriti cielo. Così l'unico problema potrebbe in futuro essere rappresentato dal ritorno dei suoi colori nell'Olimpo del pallone: ma forse, allora, l'architetto Nicola Rizzoli farà già il designatore europeo o mondiale, il problema non si porrebbe.

Quanto al basket, ne è un conoscitore profondo, anche per via di un derby "arbitrale": "Non è un caso se due dei tre arbitri che hanno diretto finali mondiali escono dalla scuola bolognese. Collina e il sottoscritto, dopo Gonella. Anche se Pierluigi, che pure oggi è il mio capo, ha diciamo un piccolo difetto. E’ fortitudino, come si sa. E quando si parla di pallacanestro, sono belle discussioni. Ricordo che una volta, durante un raduno a Sportilia, mi trovai a giocare un “baskettino” 3 contro 3, e di là c’erano Collina, Mazzoleni e Romeo, tutti fortitudini. Fu una sfida agguerrita, da gomiti alti. Roba da farsi male…”


Già, ma, Rizzoli e il traffico. Bologna, i cantieri, le arterie intasate, la convivenza difficile tra i vari mezzi di trasporto. Un giudizio. "Il mio ruolo pubblico mi porta obbligatoriamente a essere sfumato. Ecco, quello che non capisco è perchè la scorrevolezza sia così peggiorata. C'é un responsabile che me lo può spiegare e soprattutto che cerca di rimediare?"

Vabbè, torniamo al calcio. Perchè l'arbitro? "Non so perché ho fatto questa scelta. Ho deciso a 16 anni quasi per caso. In realtà me la cavavo bene anche da calciatore e molto spesso litigavo con i direttori di gara. Nelle categorie inferiori è ancora più difficile, senza assistenti e senza la giusta esperienza è quasi impossibile fare bene. Arrivare ad alti livelli non è facile, devi essere aiutato da tante persone".

L'esperienza più bella l'ha raccontata l'anno scorso. "Di sicuro l'aver diretto la finale mondiale in Brasile tra Germania e Argentina. Ho una scaramanzia: prima di rimettermi a letto, compio lo stesso rito che avevo fatto a Londra l’anno prima, per la finale di Champions League a Wembley. Mi cucio lo stemma ufficiale sulla maglietta con ago e filo, mi piace farlo come mi ha insegnato mia nonna. Il nemico in una partita così non sono i giocatori ovviamente, ma il caso, l’imprevisto, l’episodio che ti deve trovare pronto ad affrontarlo in ogni momento. Tre ore prima della gara partiamo dal ritiro verso lo stadio. Due auto scortate dalla polizia a velocità lenta ma costante. Fuori dal finestrino scorrono le favelas. Abbiamo uno spogliatoio enorme, saranno cento metri quadri, le vasche idromassaggio che sembrano piscine. Lo schermo della tv trasmette la cerimonia di chiusura, ce la guardiamo. Poi, come sempre, a settanta minuti dall’inizio metto su la mia musica collegando l’altoparlante portatile all’iPhone. Sempre la stessa playlist che impongo alla terna. Parte lenta, con One degli U2 cantata da Mary J. Blige e arriva forte con Titanium di David Guetta per darci la carica passando da Viva la Vida dei ColdPlay. Cinque minuti prima di entrare, tiro fuori dalla borsa il mio barattolino di Vicks VapoRub. Mi siedo e me lo porto al naso, respiro profondamente. Quel profumo balsamico mi calma, mi rilassa da morire. Mi ricorda quand’ero piccolo.. Alla fine mi faccio portare il tricolore che avevo affidato al quarto uomo. Salgo in tribuna per la premiazione con pallone e tricolore tra le mani. Sul volo di ritorno posso anche non dormire: un’ora in tutto, troppa ancora l’adrenalina in corpo. Quando sorvoliamo il centro di Bologna, prima dell’atterraggio, guardo il santuario di San Luca, le torri, i tetti rossi, casa... Sono passati quarantotto giorni, penso".

Vabbè, ed esperienze da pilota? "Bah, poca roba, ricordo però che a 19 anni feci un corso in autodromo a Imola sulla Opel Tigra. Divertente, e soprattutto scesi in tempo per poterlo raccontare. Non ho combinato nessun disastro!".

Infine, un messaggio al suo ambiente. Collaborare è sempre meglio: "Da tempi non sospetti dico che gli arbitri di una città dovrebbero allenarsi con le squadre della città, soprattutto se fanno parte della stessa categoria. Questo farebbe bene a tutti. Riuscire a parlare la stessa lingua porterebbe beneficio sia ai giocatori che agli arbitri. Se ci si capisce, tra l’altro, ci si innervosisce meno. E si gioca e si dirige, meglio”.


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